domenica 23 agosto 2015

Elogi delle vagabonde


Erbe infestanti. Erbacce. Gramigna. Erba cattiva. Malerba. Sterpaglia. Quanti nomi spregiativi per le specie indesiderate in giardino. Piante che, da quando esiste l'agricoltura, sono state relegate agli angoli delle terre coltivate, e sono state brutalmente combattute e ostacolate perchè non invadessero orti e giardini dedicati a piante più redditizie e fruttifere. Una lotta millenaria dal sapore biblico, essere umano contro natura selvaggia che non si addomestica.
Le resistenti, prolifiche, invitte erbacce, in questa battaglia per la sopravvivenza sono state a lungo senza voce; da qualche decennio invece sono motivo di ispirazione e di studio della letteratura di giardinaggio, e sotto certi aspetti stanno aprendo la porta a un nuovo modo di fare giardino, a una nuova mentalità di intendere gli scopi della coltivazione per diletto. 
Osservare le erbacce svela le dinamiche, le migrazioni, l'intelligenza dell'universo vegetale, e da un punto di vista più filosofico fa riflettere sull'egoismo che da sempre ha portato gli umani a escludere e combattere piante che si ritenevano antiestetiche e inutili, se non addirittura dannose. Il dubbio che le infestanti non siano semplicemente natura che non si assoggetta alle regole umane, ma piuttosto natura libera, nella facoltà di esprimenrsi in tutta la propria pienezza, si è insinuata in molti giardinieri e paesaggisti.
Nel 2002, con la pubblicazione francese di Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, Gilles Clèment apre gli orizzonti di un giardinaggio che diventa "planetario". 
La direzione si sposta piano piano verso la concezione di un giardino in movimento, dinamico: un giardino che muta e che viene lasciato mutare, nel rispetto delle leggi naturali della trasformazione che sono il segreto della differenziazione e della sopravvivenza. In una parola, evoluzione.

Io osservo la vita nella sua dinamica. Col suo normale tasso di amoralità. Non giudico, ma prendo le parti di quelle energie suscettibili di inventare situazioni nuove. [...] Elogio delle vagabonde si limita al giardino: al pianeta visto come tale. Al giardiniere, passeggero della Terra, mediatore privilegiato di matrimoni inattesi, attore diretto e indiretto del vagabondaggio, a sua volta vagabondo.
Clément passa in rassegna un elenco di piante significative, che col loro peregrinare hanno cambiato il paesaggio e segnato la sua storia. Dalla panace di Mantegazzi al cocco alle nigelle, le erbacce nelle loro peripezie, nelle loro "avventure", sono ritratte in qualità di piante che uniche possono varcare i confini, infischiarsene di dogane e bandiere nazionaliste, di paesaggi ormai ridotti a "oggetti politici" in cui tutto è pianificato (e dove l'essere umano ha perso la sua essenza di essere naturale), perchè tutto il pianeta è casa loro. "Esseri mobili, a nostra immagine, le vagabonde inventano soluzioni di esistenza. Loro ci accompagnano. Accompagniamole".

Simbolo della gratuità e della ribellione alle regole, zingare ed emarginate, proprio perchè ai margini dei campi che sono loro luogo d'elezione, dove sono oggi forzatamente relegate, e ai margini di un contesto socio-economico mondiale che non tollera nulla che non abbia un prezzo e un valore e non si presti alle leggi di mercato, le erbacce nel 2005 diventano protagoniste di un'altra opera letteraria.
Sempre pubblicato in Francia, Le journal sentimental d'une mauvaise herbe, testo poetico di Gottfried Honegger, trascende le erbe infestanti in metafora dell'essere moderno, reiette, "témoignage culturel / universel". "La vita diventa per noi ogni giorno più difficile" recita la quarta di copertina (traduzione in italiano mia), "i soli in tutto il mondo che soffrono come noi per l'ignoranza sono gli intellettuali". La voce protagonista dei versi di Honegger è quella di un'erba infestante, che racconta le disavventure quotidiane e la sensibilità delle piante neglette come lei:

Je me rappelle
que le mouvement des mauvaises herbes
a pris une telle ampleur que l'Etat,
les industriels,
les agriculteurs (nos ennemis préférés)
se sont grupés en commissions
pour trouver des moyens
de lutter contre la détermination
et contre le courage
del mauvaises herbes.
Ils ont mobilisé l'armée
avec des avions.
Ce furent des battailles sans pitié.
Mais voilà,
ce sont les nouveaux-nés de mais,
de céréales, de choux-fleurs, de salades,
de concombres et leurs semblables
qui ont subi le sésherbants, qui sont morts,
qui n'ont pas résisté
à l'aggression et a la supériorité de l'homme.
Ce fut pour eux une année triste, une année de famine.
Les mauvaises herbes sont toujours là.
Victoire!
Il libro si correda di una serie di fotografie dell'autore che riprendono parietaria, portulache, tarassachi, felci, mentre crescono in luoghi in cui la vita sembrerebbe impensabile, senza dignità: la fessura di un muro, il tombino di Vicenza otturato di terra e di accumuli pluviali, le crepe di un marciapiede piene di cicche. E' solo in Italia che, dice la protagonista, non ci si accanisce senza criterio contro le erbacce: "Je dois avouer que les Italiens sont / moins aggressifs contre les mauvaises herbes. / Ils consacrent leurs journées / à chanter, / à discuter, / à s'aimer". Qualche luogo comune, ma per campanilismo ringraziamo l'autore di questa parentesi italiana.

Elogio delle erbacce di Richard Mabey, celebre botanico inglese, esce nel 2010 e costituisce uno studio storico molto approfondito sulle infestanti che spazia dalle fonti religiose a quelle popolari e scientifiche. Il titolo originale, Weeds. How Vagabond Plants Gatecrashed Civilisation and Changed the Way We Think About Nature perde purtroppo parte della sua portata nella traduzione semplificativa dell'edizione italiana.
La storia delle erbacce va di pari passo con quella antropologica, poichè "tutto dipende da cosa si intende per erbacce".  La definizione non ha un significato assoluto, ma dipende dalla cultura, dal contesto umano che predomina in un determinato luogo.
Qualsiasi pianta che cresca in un ambiente abbandonato diventa un'erbaccia. Le infestanti sono vittime di un reato di associazione a delinquere, e sono accomunate alle compagnie discutibili che frequentano. Se crescono in mezzo al pattume anche loro diventano una specie di rifiuti. Immondizie vegetali.
Quella che è ornamentale in un posto, altrove diventa un dannoso invasore. Quella che secoli fa veniva coltivata per scopi alimentari o curativi cade in disgrazia e diventa un bandito della foresta.
Le "piante nel posto sbagliato" sono osservate in questo libro, nelle aperte intenzioni dell'autore, per difenderle, per riconoscere loro un valore culturale ed ecologico, visto che sanno adattarsi ad ambienti che a causa dell'essere umano hanno perso la loro flora originaria (in seguito a bombardamenti o urbanizzazioni). Ageratina, adonide, piantaggine maggiore, bardana, garofanino maggiore hanno singoli capitoli dedicati alla loro storia -e alle loro storie. Ma anche l'Helleborus foetidus viene citato: una specie oggi molto amata nei giardini, ma che nel 1975 fu pietra dello scandalo all'eposizione della Royal Horticultural Society. Presentato da Beth Chatto, la nota ortocultrice rischiò quasi l'espulsione per aver dedicato il suo stand a quella che all'epoca era ritenuta una "erbaccia".

Le tendenze, le "mode" più recenti hanno visto gli scaffali delle librerie riempirsi di libri a metà tra il giardinaggio e la gastronomia e imperniati sulla cucina di piante spontanee ormai dimenticate, ma un tempo apprezzate e sfruttate dalle nostre nonne, o dedicati a ricette di soli fiori o alla progettazione di giardini di piante tutte belle in fioritura e soprattutto commestibili. Alcuni titoli ce li hanno proposti grandi giardinieri che in epoca non sospetta hanno scritto di una passione per le piante selvatiche di tutta una vita (come Libereso Guglielmi). Altri sono usciti a opera di scrittori che se ne sono occupati sull'onda del momento. Erbacce. Cucinare con erbe, frutti e fiori spontanei di Serenella Amadori e Nino Costa (ed. Effequ 2014), oppure La mia cucina con le piante selvatiche. Riconoscere, raccogliere e cucinare le erbe spontanee di Meret Bissegger (ed. Casagrande 2011) sono solo un paio di titoli tra i vari che ho reperito come esempio: lo sperimentalismo gastronomico segnato dal desiderio di ritorno alla natura ha definitivamente sdoganato le infestanti a nuove protagoniste dell'amore umano per l'ambiente e per la propria alimentazione.
Nel segno di una dignità finalmente riconosciuta anche alle "erbacce" dopo millenni di vessazioni -e speriamo che non si tratti solo di una moda passeggera.